L’ interculturalità tra scuola e famiglia di Patrizia Enzi

“Un’educazione capace di salvare l’umanità richiede non poco: essa include lo sviluppo spirituale dell’uomo, la sua valorizzazione, e la preparazione del giovane a comprendere i suoi tempi.” (Maria Montessori)

L’immigrazione di persone facenti parte non solo di popoli diversi, ma anche di etnie diverse, è un evento che ormai è entrato a far parte della nostra quotidianità.
La società odierna richiede conoscenza, attenzione, valorizzazione delle diversità in un momento storico in cui avvengono grandi trasformazioni a livello economico, culturale, sociale.

La cultura multirazziale e multietnica è il nostro oggi, il nostro presente.
Gli insegnanti e i genitori hanno il dovere di farsi carico delle richieste derivanti dal cambiamento, graduale ma irreversibile, della nostra società assumendo la consapevolezza che ognuno di noi porta con sé viaggi, storie, progetti, lingue, riferimenti culturali e modi di vita diversi.
La scuola è il punto d’incontro tra diverse culture e diversi popoli, un luogo dove diventa possibile progettare percorsi di incontro con sé stessi, con l’altro, con il diverso, indipendentemente dalla razza e dalla cultura di appartenenza.
Il bambino viene guidato dalla scoperta di sé all’incontro con l’altro cercando, nel contempo, di contrastare stereotipi, pregiudizi, intolleranza e rifiuto; in tal modo ognuno può scoprire il piacere di stare insieme, di giocare, di fare e costruire, di condividere esperienze ed informazioni, attivando anche occasioni di ascolto e di scambio.
La prima infanzia è certamente un’età importante per consolidare l’accettazione e la tolleranza.

“L’uomo bambino è un embrione spirituale, dotato di misteriose sensibilità che lo guidano, di energie creative che tendono a costruire nell’anima dell’uomo una specie di strumento meraviglioso.” (Maria Montessori)

Fin da neonato, il bambino è un essere dinamico portatore di nuovo, di cambiamenti, di idee creative. Per Freud il bambino di 6/8 mesi manifesta una certa avversione per lo straniero piangendo disperato se un estraneo si avvicina e tenta di prenderlo in braccio. Tuttavia tale periodo è di breve durata e tutto si attenua con il tempo: il bambino impara ad accettare fiduciosamente anche lo sconosciuto.

Dai tre anni circa egli è incuriosito dalle “diversità” e gioca tranquillamente con tutti, qualunque sia la diversità, la provenienza o l’etnia.
Dai cinque/sei anni in poi le differenze cominciano ad essere percepite, più delle somiglianze, sulla base di dati visibili e concreti come l’aspetto fisico, la lingua, l’abbigliamento. Spesso il “diverso” viene visto come qualcuno che ha caratteristiche inferiori alle proprie. Questa diversità viene temuta di più dagli adulti: l’altro è persona, l’amico, il vicino di casa, colui che ci incrocia per la strada, chi ci sta seduto accanto in autobus, ma l’altro è anche il lavavetri, il mendicante, il “vu cumprà”, colui che invade il nostro stile di vita e che rompe la nostra tranquillità.

In una società egoista, dell’avere, il bambino va educato alla generosità del dare.
La scuola e i genitori dovrebbero aiutare il bambino nella maturazione dell’identità personale, nella conquista della sicurezza, nella valorizzazione delle sue intuizioni culturali.
Ciascun bambino riceve dai genitori un importante patrimonio individuale a corredo della propria vita. In questo importante “bagaglio” possiamo trovarci la nazionalità, la classe sociale, la religione, le tradizioni, le caratteristiche fisiche…..
I genitori sono gli adulti che per primi devono dare il buon esempio, insegnando ai propri figli l’amore e il rispetto per le persone, per le cose, per il mondo della natura, stando attenti anche al linguaggio che viene utilizzato.
Molto presto il bambino può imparare espressioni verbali infamanti, anche senza conoscerne il significato: l’adulto le dice così bene e con tale enfasi che il piccolo pensa siano lecite ed importanti.
I bambini hanno grandi capacità di accettazione e di adattamento insegnandoci la tolleranza, ma, a volte, manifestano dei pregiudizi che acquisiscono dai genitori, dai mass media e, purtroppo in taluni casi, anche

dalla scuola. Questi pregiudizi sono indotti proprio dagli adulti che fanno ricorso alla paura con giudizi menzogneri o esagerati.
Nel contesto familiare il bambino impara facilmente a conformarsi ai modelli comportamentali che gli vengono trasmessi, imitando gli atteggiamenti esteriori, ma anche i pensieri espressi ad alta voce, le ostilità e le antipatie. Spesso gli adulti non si rendono conto, ad esempio, di quanto riescano ad ascoltare e a sentire i bambini, anche quando stanno giocando o sono in un’altra stanza

La difficoltà ad accettare se stesso e i propri errori può portare il bambino, una volta cresciuto, a trasferire sugli altri le colpe infantili mai risolte: può nascere così l’intolleranza.
Nell’adolescenza i pregiudizi si consolidano e il ragazzo estrae dal suo “bagaglio” le dicerie, i ricordi e gli stereotipi sociali che ha accumulato nella sua breve vita.

L’azione educativa si deve basare sulla “pari dignità” di ogni persona per scoprire che la diversità è la bellezza dell’altro, è arricchimento.
Il pedagogista Piaget ritiene che la vera maturità sociale per superare il pregiudizio richieda il passaggio dall’egocentrismo alla reciprocità.

Nella società ognuno di noi è chiamato ad essere se stesso e l’altro insieme: rispetto per l’altro,ma anche attenzione all’altro attraverso il desiderio di comprendere e di confrontarsi con ciò che l’altro pensa, soffre e spera. La propria identità va costruita in pieno confronto con altre identità, ma questo cammino va fatto fin dalla scuola dell’infanzia accogliendo la sfida dell’intercultura.

Nelle nuove presenze di bambini stranieri spesso ravvisiamo imprevisti e difficoltà a livello educativo, ma anche e soprattutto di convivenza. Gli stranieri, oggi, sono coloro che, per alcuni aspetti, ci sembrano strani, diversi dimenticando spesso che ciascuno di noi è una rarità, irripetibile nella sua diversità.
Vivere in una piccola società come quella della scuola dell’infanzia avvia il bambino alla convivenza, al rispetto di sé e degli altri, alla scoperta di ciò che accomuna e unisce tutti gli uomini.

“Giocare in una classe con bambini dalle storie diverse serve a tutti, quindi anche all’insegnante che, vedendo giocare, osserva atteggiamenti e richieste infantili che altrimenti non potrebbe notare. Ma, poi, gli serve anche per tradurre con semplicità ed immediatezza quanto nessuna dotta predica interculturalista riuscirebbe ad ottenere. Ancora una volta sono le esperienze insieme, il toccarsi, il cantare e suonare, il pasticciare con le mani che interrompono sul nascere i pregiudizi peggiori.” (Duccio Demetrio)

La scuola aiuta la famiglia nell’educazione valoriale e nel contempo educa il bambino alla cura della relazione educativa dando grande importanza all’ascolto e all’osservazione. Nei primi anni di scuola viene curato anche il benessere affettivo – emotivo attraverso l’accettazione di ogni bambino nella sua straordinaria unicità. La valorizzazione delle differenze diventa così di primaria importanza imparando che la propria cultura non è la migliore, ma una cultura tra le altre culture. Si afferma così la propria dignità dando dignità all’altro.

Porre attenzione alle diversità di cui ciascuno di noi è portatore può essere certamente faticoso a livello psicologico e personale, ma ci fa scoprire tali diversità come risorse e come valori. Anche il bambino arrivato da un Paese che non è il nostro, potrà così trovare la sua giusta dimensione di cittadino del mondo. Intercultura è interscambio, convivialità delle differenze, ricettività verso le altre culture.

Se rispetto me stesso, rispetto anche gli altri perché oggi più che mai ognuno di noi è chiamato ad essere se stesso e l’”altro” insieme.

“Incontrando un mio amico indiano, assimilato alla società tecnica moderna, gli ho detto: “Sono circa vent’anni che lei è acculturato; che significa questo per lei?”. L’indiano mi rispose: “Ebbene, ciò che mi è rimasto dei contatti con questo mondo in continua accelerazione e di questi incontri con persone molto eterogenee in rapporto a me stesso, è che bisogna accettare gli uomini per quello che sono, non solo se sono neri o bianchi o gialli, ma anche se sono verdi. […] L’uomo verde è l’uomo di domani. […]: egli sarà tollerante verso il cambiamento, accetterà che le cose si modifichino anche se sono profondamente radicate nella sua cultura personale; egli sarà capace di muoversi in un mondo di simboli e di lingue diverse. Essendo tollerante, essendo capace di capire gli altri, essendo capace allo stesso tempo di rimanere sé stesso, egli costituirà una società nuova, nella quale non ci sarà più la guerra, non ci sarà più la follia: l’uomo verde è l’uomo di domani!”

(Margaret Mead)

di Patrizia Enzi

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