TUTTO E’ CONNESSO. L’ATTUALITA’ DELLA PEDAGOGIA DI MARIA MONTESSORI. di Daniele Novara

Tutto è connesso

L’attualità della pedagogia di Maria Montessori

 di Daniele Novara

 

È sempre imbarazzante per un pedagogista italiano come il sottoscritto, affrontare l’opera e l’esperienza di Maria Montessori, la più grande e importante collega che  sta alle spalle del mio lavoro professionale. Imbarazzante in quanto l’Italia è il suo paese ma è anche un paese dove le sue scuole e il suo pensiero hanno fatto e fanno più fatica a trovare una collocazione adeguata. Nei miei viaggi ricordo di aver trovato le scuole montessoriane o ad ispirazione montessoriana nelle più disgraziate favelas  brasiliane come negli sperduti paesini dell’Irlanda. Così come è stato sorprendente a Perugia nel ‘99 essere invitato a parlare di Educazione alla pace alle direttrice e ai direttori delle scuole montessoriane di tutto il mondo con presenze dal Pakistan, Bangladesh, Australia, Nuova Guinea, tanto per dire i paesi e i continenti più lontani. Non solo, rovistando negli scaffali pedagogici delle librerie di varie città del mondo la Montessori è sempre presente, la stessa cosa purtroppo non si può dire per l’Italia.

Senz’altro per noi educatori italiani l’episodio più curioso si ebbe qualche anno fa quando la rivista WIRED rivelò, nel numero del settembre 2011, che i giovani guru dell’economia digitale internazionale si erano proprio formati da piccoli nelle scuole montessoriane e che anzi quella sembrava essere la loro matrice più forte e significativa. Sto parlando proprio di Jeff Bezos fondatore di Amazon, Jimmy Wales creatore di Wikipedia e soprattutto di Larry Page e Sergey Brin che hanno dato vita a uno dei fenomeni mondiali più innovativi ossia Google, il sistema di connessione tecnologica internazionale. E se si va sui personaggi meno noti, l’elenco dei protagonisti delle nuove tecnologie che stanno rivoluzionando la nostra vita contempla ulteriori rappresentanti dell’apprendimento montessoriano.

I commentatori non hanno esitato a collegare la creatività di questi personaggi alla loro stessa formazione scolastica, alle loro radici infantili in un humus educativo che proprio come voleva Maria Montessori stimola i bambini a tirar fuori il meglio di sé, a creare le condizioni perché possano sviluppare tutto il loro potenziale, tutto quello che hanno dentro.

Forse è il caso di tornare sui propri passi e di riscoprire la modernità, l’attualità, la forza della nostra pedagogista, il significato attualissimo della sua proposta.

Ci sono insomma buone ragioni per tenere Maria Montessori come punto di riferimento per il futuro dei nostri figli, dei nostri bambini, dei nostri ragazzi. Cercherò di dimostrarlo.

 

Sei buone ragioni per tenersi ben stretta la Montessori

 

  1. Perché per i bambini imparare è la cosa più importante

La Montessori crede e imposta tutta la sua attività scientifica nella consapevolezza che i bambini hanno una naturale predisposizione a imparare e che questa loro forza interna debba semplicemente trovare lo spazio e le occasioni per potersi sviluppare e manifestare.

Già nelle sue prime esperienze, quando è ancora molto giovane, scopre che bambini considerati minorati mentalmente, addirittura tenuti negli ospedali psichiatrici degli adulti, posti in ambienti accoglienti e con materiali sensoriali adeguati possono acquisire apprendimenti non solo significativi ma per l’epoca (stiamo parlando dei primi del ‘900) superiori agli stessi bambini delle scuole tradizionali abituati a metodi molto meno esperienziali, più trasmissivi e più passivi.

Maria Montessori applica un’idea molto semplice confermata anche dalle moderne neuroscienze: se imparare è anzitutto un’esperienza occorre che le scuole stesse siano impostate su situazioni di coinvolgimento concreto, attivo, diretto. Non ci può essere una passività recettiva ma una sintonizzazione con il mondo della realtà, del fare, dello scoprire sensoriale.

Mette in atto una rivoluzione che è semplicemente la conferma metodologica di quello che ciascuno di noi fin da piccolo vive, ossia l’imparare facendo, l’imparare nella scoperta, nel poter sbagliare e nel poter ripetere fino a raggiungere una vera e propria competenza.

Racconta Lorella Boccalini, formatrice pedagogica del CPP (Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti) che ha scelto per le sue figlie le scuole montessoriane: “Mi convinceva l’idea che si potesse lasciare ad ogni bimbo il tempo per sperimentare il proprio modo di apprendere, che anzi venisse incoraggiato, attraverso l’uso del materiale di italiano e di matematica a disposizione nel lavoro libero, a concentrarsi, a trovare il proprio interesse dentro di sé, ad esercitare l’impegno non arrendendosi davanti all’errore, ma avendo il tempo di riprovare senza essere giudicato, cercando le proprie strategie anche per fare le cose più impegnative. Imparando e essere rispettati e a rispettare gli altri. Mi bastava pensare che Irene sarebbe stata in un ambiente ricco di proposte ma non competitivo, dove avrebbe alimentato l’interesse, che si vede nei bambini, per ciò che le veniva proposto e avrebbe esercitato la sua passione e la sua volontà, dove lo scambio tra bambini anche più grandi o più piccoli l’avrebbe aiutata ad imparare ma anche ad avere interesse per gli altri, a chiedere ma anche ad aiutare i compagni in difficoltà, a prendersi cura delle cose comuni”.

Il suo metodo in altre parole asseconda le naturali tendenze infantili e umane ad assorbire l’esperienza e a trasformarla in nuove capacità.

 

  1. Non si basa sulla correzione ma sulla libertà

L’idea che i bambini sbagliano e fanno le cose sbagliate, che sono capricciosi, disturbatori, oppositori, distratti, incapaci, opportunisti, provocatori, è dura a morire. Immaginiamo allora l’epoca di Maria Montessori quando la concezione stessa del bambino è ancora circondata da un alone di incompiutezza, di deficitarismo, di mancanza, quando i metodi sono terribilmente crudeli, legati anche all’indigenza (pensiamo al lavoro minorile, alle punizioni corporali nelle famiglie e nelle scuole, alle fasciatura dei neonati). Quanti genitori ancora oggi andando ai colloqui con gli insegnanti si sentono ripetere “suo figlio potrebbe fare di più; suo figlio non è concentrato; suo figlio è molto distratto; suo figlio non esegue; non ascolta”. Tutto questo incalzare di giudizi negativi sui bambini trova nella pedagogia montessoriana il suo definitivo superamento.

Non si tratta di correggere ma di far nascere. “Chi tenta di correggere il bambino con la forza e con il peso della propria autorità si accorgerà ben presto di aver fallito nel suo intento. Il bambino risponderà in modo forte, esplicito perfino violento”.(Il nuovo adulto, Quaderno Montessori n.73, Castellanza, VA, primavera 2002, pag.61)

Si tratta per Maria Montessori di sostenere il bambino senza invadenza, senza oppressione per consentire alla sua forza vitale di esprimersi creando l’ambiente e le connessioni metodologiche adeguati. Si tratta di aiutarlo in maniera indiretta piuttosto che indicargli continuamente quello che è giusto e quello che è sbagliato, quello che deve fare e quello che non deve fare. La pedagogia correttiva purtroppo resta ancora molto presente nei nostri immaginari sia in famiglia che nelle scuole con conseguenze devastanti per il potenziale di crescita infantile.

Credo che l’aspetto più rivoluzionario del Metodo Montessori sia proprio questo: sospendere ogni forma di correzione infantile, di intervento diretto invasivo nei confronti di quello che i bambini stanno facendo, lasciando che siano loro stessi a fare le scoperte necessarie. È una sottolineatura che ricorre anche negli scritti di Grazia Honnegger Fresco, grande pedagogista italiana “Non occorre che l’adulto metta costantemente in evidenza gli sbagli e li corregga. Anzi, l’atteggiamento giudicante è un attacco alle capacità maieutiche dell’essere umano, all’autostima del bambino”.(G. Honnegger Fresco, Maria Montessori, una storia attuale, l’ancora del mediterraneo, Napoli-Roma, 2007, pag.163)

 

  1. Perché la libertà è sempre formativa

Il metodo assume il concetto di libertà come elemento fondamentale. La Montessori non usa mezzi termini. Nelle sue scuole i bambini devono avere la libertà di scegliere. La libertà di poter sperimentare, la libertà di imparare. Ma occorre fare attenzione a questa idea e scrollarsi di dosso il pregiudizio che già alla sua epoca, specie in Italia, aveva fortemente condizionato la sua proposta. Un pregiudizio tipicamente idealistico, ossia che questa libertà rappresenti la visione di un bambino che scorrazza incautamente, imprudentemente ovunque e di continuo senza che l’adulto abbia la possibilità di intervenire e di proporre qualcosa di significativo. È una visione grottesca dell’idea montessoriana. Una citazione della stessa spazza via senza mezzi termini questo pregiudizio: “Quando perciò parliamo di “libertà” del piccolo bambino non intendiamo di considerare le azioni esterne disordinate che i bambini abbandonati a sé stessi compirebbero come sfogo di un’attività senza scopo, ma diamo la parola in senso profondo di liberazione della sua vita da ostacoli che ne impediscono il normale sviluppo..

Rimuovere per quanto possibile queste circostanze studiando più profondamente i bisogni intimi occulti della prima infanzia per corrispondervi col nostro aiuto vuol dire liberare il bambino.

Questo concetto implica da parte dell’adulto maggiori cure più fini osservazioni dei veri bisogni infantili e come primo atto pratico conduce a creare l’ambiente adatto dove il fanciullo possa agire dietro una serie di scopi interessanti da raggiungere incanalando così nell’ordine nel perfezionamento la sua irrefrenabile attività”. ( La scoperta del bambino, Garzanti, MI, ’91, pagg. 67/68).

Quindi per riassumere libertà non vuol dire che l’adulto non interviene o non fa nulla lasciando che i bambini si perdano senza ancoraggi educativi ma significa che l’azione educativa del’adulto è in funzione della libertà infantile ossia della costruzione di uno spazio e di un tempo dove i bambini possono fare esperienza autonoma. Si tratta di un’arte raffinatissima, non di improvvisazione.

Difatti per potersi definire educatore montessoriano occorre avere una preparazione, una formazione molto specifica. È una libertà basata sulla fatica ossia sullo stare dentro il lavoro dove il bambino si concentra e sceglie lui stesso. Dobbiamo capire, dice la Montessori, che per il bambino non è importante solo l’attività in sé ma il fatto stesso di poterla scegliere da solo. Questa coniugazione e congiunzione fra libertà e esperienza concreta enfatizza la possibilità che il bambino incanali al meglio le sue energie, la sua creatività, le sue risorse in funzione dei suoi stessi obiettivi non di quelli predisposti dall’adulto. Adulto che, dice la Montessori, deve rinunciare anzitutto ad essere verbalmente e praticamente il despota cui il bambino deve obbedienza con la pretesa che la mente infantile si formi secondo un piano stabilito a priori. (Educare il bambino rispettandolo, in Quaderno Montessori n. 52, Castellanza, VA, inverno 1996/97, pag. 58)

 

  1. Perché i bambini imparano con le buone esperienze e non con le spiegazioni verbali

Mi permetto di sottolineare questo punto anche se è molto implicito dentro la pedagogia montessoriana che è fortissimamente orientata alla sensorialità ma vorrei ribadirlo proprio oggi che siamo un po’ tutti orfani di buone pedagogie e di buone educazioni. Si impara facendo esperienze e non ascoltando pedissequamente le istruzioni per l’uso. L’adulto che pretende di incalzare il bambino con tutto quello che deve fare e che non deve fare, quello a cui deve sottoporsi, quello a cui non deve sottoporsi pare lontano anni luce dalla possibilità di sintonizzarsi con la mente infantile.

L’adulto ha due minuti per uscire di casa, questi due minuti non coincidono con i tempi infantili e allora giù spiegazioni, arrabbiature, discorsi di ogni tipo. È implicito nella proposta montessoriana che il compito dell’adulto sia quello di predisporre piuttosto che di imporre ma che specialmente le prediche, le lezioni e le spiegazioni frontali così tornate in auge negli ultimi tempi, specie nella scuola tradizionale italiana, rappresentano delle occasioni perse. La capacità di concentrazione di un bambino applicato a un’attività concreta con le mani è ben più superiore alla scarsissima capacità di ascolto di una lezione frontale. La concentrazione infantile non corrisponde alla capacità di ascolto ma corrisponde a una capacità di fare: la concentrazione è nel fare non nell’ascoltare.

Che a distanza di più di un secolo dalle prime scuole montessoriane si debba ancora ripetere questa innegabile constatazione scientifica appare sconsolante ma è un ulteriore motivo per tenere sul comodino, nelle nostre biblioteche, ovunque i libri e le proposte di Maria Montessori.

Parlando della sua prima visita alla scuola d’infanzia montessoriana Lorella Boccalini scrive: “per più di un’ora avevo girato per una scuola magari un po’ vecchia con ambienti non perfetti in un palazzo storico del centro di Milano dove le Belle Arti non consentono troppi interventi, ma avevo visto bambini tranquilli, concentrati a fare lavori di tutti i tipi (seduti al telaio o a cucire, a fare in tre il gioco della banca, a fare torri che consentono di “toccare e sentire” le diverse misure, a lavare bambole, sdraiati per terra ad allineare perline che, senza fatica, avvicinano ai concetti matematici), in un ambiente accogliente, con adulti presenti ma non ingombranti, senza urla di educatrici o bambini, senza troppi stimoli decisi dalle maestre ma pieno di risposte per qualsiasi “domanda” di qualunque bambino. Ed un cortile dove, senza paura dei rischi di cadute, i bambini giocavano e correvano”.

 

  1. Perché il metodo montessoriano non è fatto di cattedre

La Scuola della Montessori è diversa ma non è una scuola eccentrica. Eccentrica è la scuola tradizionale, la scuola che pretende di tenere ore e ore i bambini e i ragazzi nei banchi, che invece di sviluppare, incentivare e incoraggiare l’apprendimento continua sistematicamente e ossessivamente a dare voti, giudizi, correzioni, punizioni come se le persone potessero migliorarsi con le bastonate.

Eccentrica è la scuola tradizionale. Purtroppo è ritornata di nuovo in auge nonostante tutto quello che conosciamo scientificamente. Una scuola che pretende che i ragazzi mandino a memoria nozioni che non hanno applicazione, che non hanno riscontro nei loro interessi, che non diventano parte di una motivazione profonda. Una scuola parcheggio in cui gli insegnanti stessi sono vittime sacrificali di un sistema che non offre loro neanche una formazione adeguata, che li spedisce a ripetere quello che hanno subito a loro volta quando erano alunni con una naturalezza cinica che non tiene conto né dei loro bisogni né tanto meno di quelli dei bambini, delle bambine, dei ragazzi, delle ragazze che passano tanto tempo tra le mura scolastiche e avrebbero diritto a ben altro.

Nel metodo Montessori non sono previste punizioni, cattedre, voti, banchi rigidi.

È una vera comunità di apprendimento che non pretende di ottenere risultati da continue valutazioni che interrompono e interferiscono sul naturale processo di conoscenza.

Scrive ancora Lorella Boccalini:“Così come si pensa, quando si partorisce il primo figlio, a tutte le opportunità migliori che si vorrebbero offrire, un regalo per la sua vita. Poi, con il tempo e la quotidianità che prende forma, alcune cose cambiano, altre ci sembrano meno essenziali, ma alcune rimangono assolutamente importanti. Così, passati i primi tre anni, avvicinandosi il momento dell’iscrizione alla scuola dell’infanzia, ho chiesto un appuntamento alla Scuola Montessori più vicina a casa mia. Avevo nel frattempo letto alcuni libri di Maria Montessori e assistito ad alcuni incontri specifici sul materiale per la Casa dei Bambini (3-6 anni). Partecipando alle presentazioni delle Scuole dell’Infanzia della mia zona, anche quelle che tutti consigliavano, uscivo con una sensazione di disagio, qualcosa a livello emotivo che mi faceva sentire che non era quello il luogo in cui avrei voluto lasciare mia figlia. Ad ogni presentazione, una frase o un concetto espresso da una operatrice del servizio (“i bambini di questa età fanno questo ma non possono fare quello”, “abbiamo una programmazione, insegniamo questo e quello”, ecc.) mi davano l’evidenza di una poca competenza pedagogica e di un’idea di bambino e di apprendimento del bambino ai miei occhi veramente molto ristretta”.

 

  1. Perché l’adulto non si sostituisce al bambino

Maria Montessori inaugura per l’adulto educatore un nuovo ruolo, una funzione che non attiene al controllo, alla programmazione sistematica di ogni singolo passo che il bambino deve fare, di una didattica centrata su quello che organizza sistematicamente l’adulto. L’impostazione montessoriana così famosa nel mondo anche per la frase “Aiutami a fare da solo” rappresenta un modello pedagogico scientifico che si allontana definitivamente da due esiti dannosi. Da un lato l’adulto domatore che impone una sua logica, un suo confezionamento didattico ed educativo in termini spesso indifferenti al feedback infantile, dall’altro viceversa, l’adulto servizievole che specularmente soffoca l’iniziativa, la capacità all’autonomia infantile precludendo di fatto l’esperienza dei più piccoli e la possibilità di farcela da soli.

“La madre che imbocca il bambino senza compiere il minimo sforzo per insegnargli a tenere il cucchiaio e cercare la sua bocca, o che almeno non mangia ella stessa invitandolo a guardare come fa, non è una buona madre. Ella offende la dignità umana di suo figlio, lo tratta come un fantoccio, mentre è un uomo dalla natura affidato alle sue cure. Chi non comprende che insegnare a un bambino a mangiare, a lavarsi, a vestirsi, è lavoro ben più lungo, difficile, e paziente che imboccarlo, lavarlo, vestirlo. Il primo è lavoro dell’educatore: il secondo è il lavoro inferiore e facile del servo”. E aggiunge: “Tutto quanto è aiuto inutile, è impedimento allo sviluppo delle forze naturali”. ( Educare alla libertà, Laterza, BA, 1950, pagg. 49/50)

Né servizievolezza né mortificazione aiutano i bambini a crescere nella consapevolezza delle proprie risorse, nella fiducia di potercela fare da soli, nella sintonizzazione con le proprie capacità. Ecco allora una nuova metafora per l’educatore visto come una figura di sfondo più che di presenza sistematica. Quante volte la Montessori comunicò il piacere di poter andare in uno dei suoi centri e non accorgersi letteralmente della presenza della maestra in quanto i bambini erano così impegnati nel lavoro da non aver bisogno dell’adulto.

Giustamente ricorda Grazia Honegger Fresco che anche la didattica montessoriana è in funzione della libera iniziativa del bambino. “I materiali non sono un aiuto per la maestra che deve spiegare, cioè non sono mezzi didattici – ma un aiuto al bambino che li sceglie, li usa secondo le proprie tendenze e bisogni, secondo l’impulso dell’interesse. Così gli oggetti diventano mezzi di sviluppo”. L’adulto, se necessario, ne presenta brevemente l’uso, poi lascia che il bambino (o il ragazzo) provi da sé, a suo modo. In tal senso “educare” riprende l’antico significato di “trarre fuori”, partendo dal riconoscimento delle potenzialità individuali”. (G. Honegger Fresco, Maria Montessori, una storia attuale, l’Ancora del Mediterraneo, Napoli-Roma, 2007, pag.163)

“Un buon maestro Montessori si riconosce se, dopo i primi tempi di scuola, resterà in un angolo dell’aula con un’aria di soddisfazione in viso, occupato solo ad osservare l’intera classe, impegnata in una sana e vivace attività, dove ciascuno è assorto in ciò che ha scelto e che porterà a compimento, imparando attraverso le sue stesse azioni”. (Il nuovo adulto, opera citata, pag. 56)

 

Non si tratta di un patrimonio Unesco per l’umanità o di metafore archeologiche di questa natura utili solo agli studiosi. Rappresenta un’impronta educativa indispensabile per le nuove generazioni. Le stesse neuoroscienze continuano ad affermare l’ipotesi montessoriana della profonda connessione fra sensorialità e processi mentali, fra apprendimento ed esperienza tattile, fra utilizzo delle mani e corrispondente integrazione cerebrale.

Oggi abbiamo la conferma che il bambino cresce bene e sviluppa tutta la sua intelligenza se il suo sguardo, il tatto, i piedi, il linguaggio, tutto il suo essere hanno la possibilità di fiorire, di trovare dei luoghi dove potersi sperimentare.

In tempi come i nostri in cui si preferisce “conservare” i bambini piuttosto che aiutarli a immergersi nella vita non si può che essere riconoscenti di quanto scoperto da Maria Montessori. Tornare con riflessioni pedagogiche che sviluppino il suo pensiero piuttosto che volerlo inutilmente contrastare.

Anch’io come pedagogista riconosco Maria Montessori come una maestra sia nella creazione di un approccio metodologico che ho profondamente incentrato sulla maieutica, ossia su un apprendimento generato dall’affrontare domande, problemi, piuttosto che inquadrato dentro risposte esatte, contenuti più o meno nozionistici.

È un imprinting che mi deriva profondamente da questo enorme lavoro di ricerca fatto dalla Montessori ma anche tracce del mio lavoro, forse quello più noto, a cui mi sono particolarmente applicato, per aiutare i bambini a essere liberati dal tabù colpevolizzante del non litigare. Anche su questo Maria Montessori ebbe pagine a tutt’oggi inascoltate.

Parlando delle naturali disposizione dei bambini a lavorare tra loro infatti scriveva: “L’interferenza degli adulti in questa prima preparazione al comportamento sociale è quasi sempre sbagliata. Nell’esercizio di «camminare sul filo» uno dei bambini sbaglia la direzione e sembra che sia inevitabile un urto: l’adulto ha l’impulso di prendere il piccolo e voltarlo, ma il bimbo se la caverà da sé e risolverà il problema, non sempre nello stesso modo, ma sempre in modo soddisfacente. E altri problemi simili si presentano a ogni piè sospinto, e i piccoli sono ben contenti di affrontarli. Si irritano se gli adulti intervengono: lasciati a loro stessi li risolvono bene. Anche questo è un esercizio di esperienza sociale e questi problemi risolti pacificamente costituiscono un’esperienza continua di situazioni che l’insegnante non potrebbe suscitare. Generalmente un insegnante interviene, la sua soluzione è diversa da quella dei bambini e disturba l’armonia sociale della classe. Se sorge uno di questi problemi, noi dovremmo, tolti casi eccezionali, lasciare che i bimbi se la cavino da loro, e così facendo potremo osservare con maggiore obiettività le manifestazioni e il comportamento infantile, di cui l’adulto è ancora all’oscuro. Attraverso queste esperienze giornaliere si afferma una costruzione sociale”. (La mente del bambino, Garzanti, MI, pagg. 220/221)

Mi piace chiudere con questa sua citazione per sottolineare quanto sia inutile voler ricominciare tutto da capo come se nulla fosse successo. Meglio proseguire su una linea evolutiva che ci porti fuori, speriamo definitivamente, dai retaggi della crudeltà, della violenza, della mortificazione dell’infanzia e anche del più intero genere umano.

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