MAL DI SCUOLA

Molto comuni sono i fallimenti scolastici: “Ma è il bambino che fallisce o è la scuola?” – bisognerebbe chiedersi insieme a Hillman – “Forse dovremmo leggere in altro modo i dati dei disturbi dell’apprendimento e i casi di difficoltà scolastiche.

Piuttosto che ‘Non riusciva a scuola’ dovremmo leggere ‘Si è salvato dalla scuola’. In molti casi infatti l’intuizione del daimon non può assoggettarsi alla normalità dell’istruzione”.

Basti pensare alla biografia di tanti celebri personaggi riportati dallo psicanalista americano: Thomas Edison era uno degli ultimi della classe, Giacomo Puccini era sempre bocciato agli esami, Paul Cezanne non fu ammesso alla Ecole de Beaux Arts di Parigi, Albert Einstein veniva definito “un po’ ottuso” dai suoi insegnanti alle scuole elementari, dove si annoiava al punto da affermare “Preferivo sopportare qualunque castigo piuttosto che imparare baggianate a memoria”; Thomas Mann definiva la scuola “stagnante e eludente” e il grande poeta indiano Tagore, non riuscendo a sopportarla, la interruppe a tredici anni: “Sono stato abbastanza fortunato da districarmene prima che l’insensibilità diventasse cronica” ebbe poi a scrivere. Lo scrittore francese contemporaneo Daniel Pennac, in uno dei suoi ultimi libri, racconta così il suo travagliato esordio scolastico: “Andavo male a scuola. …I miei voti sul diario dicevano la riprovazione dei miei maestri. Quando non ero l’ultimo della classe, ero il penultimo. Refrattario dapprima all’aritmetica, poi alla matematica, profondamente disortografico, poco incline alla memorizzazione delle date e alla localizzazione dei luoghi geografici, inadatto all’apprendimento delle lingue straniere, ritenuto pigro (lezioni non studiate, compiti non fatti), portavo a casa risultati pessimi che non erano riscattati né dalla musica, né dallo sport né peraltro da alcuna attività parascolastica.” Fu solo grazie all’intervento di tre o quattro bravi insegnanti che fu “salvato dalla scuola” fino a diventare insegnante lui stesso.

L’elenco dei personaggi illustri alle prese con il “mal di scuola” potrebbe continuare a lungo.

Ma possiamo guardare anche più vicino a noi. Conosco un bambino, peraltro pieno di interessi e curiosità, che in prima elementare, dopo un impatto non proprio piacevole con la scuola, disse alla  mamma “ma qualcuno non mi può sostituire?”: segno inequivocabile di un incontro mancato tra il suo daimon e l’ambiente scolastico.

La maggior parte dei bambini e dei ragazzi, alla fatidica domanda “Ti piace andare a scuola?” risponde di no e afferma di annoiarsi. “Detestavo la scuola, non l’imparare” diceva W. Saroyan, affermazione che molti alunni, considerati svogliati, potrebbero sottoscrivere.
Del resto la Montessori non è certo tenera nei confronti dell’istituzione scolastica di cui parla in termini piuttosto critici, addirittura adducendo ad essa la tanto, già ai suoi tempi, criticata, “mancanza di carattere nella gioventù”: “È la scuola – ella dice – che contorce il corpo, quella che indebolisce l’anima”.

A scuola, secondo la Dottoressa, i bambini sono “obbligati in massa ad un lavoro forzato di molti anni, ove il corpo sarà sottoposto alla tortura”. Esistono perfino malattie acquisite per il solo fatto di andare a scuola, come la scoliosi e la miopia: la prima legata alla “troppo prolungata permanenza nella posizione seduta” – e, oggi, al carico sempre più spropositato di zaini e cartelle – la seconda a una insufficiente illuminazione o alla eccessiva lontananza del bambino dalla lavagna.

Ma si potrebbero aggiungere anche un bel campionario di malattie psicosomatiche come disturbi digestivi, mal di testa, ansia e relativi incubi notturni ed enuresi (ai tempi della Montessori si parlava di “anemia, mal di fegato e neurastenie”).

Le forzature infatti non sono solo fisiche per il bambino: “La scuola, nella maggior parte dei casi, è un luogo spoglio, nudo, ove il colore grigio delle pareti, le tende alle finestre, precludono ai sensi ogni via di sfogo. Lo scopo di questo triste scenario è che l’attenzione dello scolaro non sia trattenuta da stimoli e venga condotta a fissarsi sul maestro che parla. I fanciulli, seduti, ascoltano per ore ed ore nell’immobilità. Quando questi fanciulli disegnano devono riprodurre perfettamente un altro disegno. Quando si muovono, è interpretando esattamente un comando altrui. La loro personalità è apprezzata solo per l’obbedienza passiva; l’educazione della loro volontà consiste nella metodica rinuncia al volere”. Spesso la scuola impone ai bambini “delle condizioni che l’adulto non avrebbe la forza di sopportare nemmeno in minima parte … come per esempio quella di ascoltare immobilmente per tre o quattro ore al giorno, durante anni, un conferenziere pesante e noioso!”

Ed è così che ci si è messi a studiare il fenomeno del surmenage e della fatica dello scolaro, cercando in modi diversi di combatterla o alleviarla, in una parola di “diminuire la pena”, per esempio abbreviando gli orari scolastici o riducendo i programmi ma “la conclusione di tante ricerche è una crescente moltitudine di problemi insoluti”: da un lato, lo spettro  dell’incombente ignoranza, in tempi in cui ci sarebbe bisogno invece “di una cura intensiva delle nuove generazioni e di una preparazione culturale sempre più vasta e complessa” e, dall’altro, l’abbandono dei bambini per tempi prolungati che diventa un’emergenza sociale, vista la sempre maggior durata dei tempi lavorativi dei genitori.

Chiaramente non è in queste direzioni che va cercata la soluzione dei problemi che affliggono la scuola di oggi come affliggevano quella di ieri.
Vedremo tra poco come per capovolgere la situazione e trasformarla completamente siano sufficienti alcuni semplici ma basilari accorgimenti: accordare ai bambini la libertà di scelta e accendere in loro la lampadina dell’interesse significa aprire le porte di un mondo incantato che continuerà ad affascinarli per il resto della loro esistenza.

Estratto dal libro Libertà e Amore di Elena Balsamo – Pediatra e Scrittrice

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